Serena Siniscalco convoca la poesia al suo tavolo di scrittrice come regista organizzatrice dello spettacolo della vita, colto e raccontato nell’esemplarità schietta e luminosa di una quotidianità alacre e appagante. La poetessa riprende la grande tradizione della linea lombarda per arrivare fino ai contemporanei, così rivolta a realizzare nei versi un realismo magico di rappresentazione esemplare e luminosa del vivere quotidiano. Intenso è l’impegno della poetessa anche come organizzatrice di incontri e simposi tra letterati e artisti di varie tendenze. La giuria all’unanimità le conferisce il primo premio assoluto per l’inedito.
Nello splendore di un’invenzione poetica che spettacolarizza il linguaggio della poesia in una continua metamorfosi caleidoscopica di assunzioni e di remissioni dei significati, il poema La danza di Adriano Accorsi allude sia alla funzione connotativa della poesia sia alle possibilità immaginative e orfiche del ragionamento poetico, nella doppia valenza di connessioni logiche derivate dalla realtà e di nessi psicologici derivati dall’interiorità profonda dell’uomo. La Giuria all’unanimità attribuisce la dignità di stampa.
La poesia di Maria Ebe Argenti, nella proporzione di una forma metrica rispettosa della tradizione italiana e liberamente intonata alla ricchezza espressiva dei versi sciolti, ma anche con la possibilità di evocare con grazia suadente e non insistita forme chiuse ormai relegate nel passato della nostra letteratura di impegno, contribuisce in modo significativo a mantenere integro e affascinante il ruolo del poeta come letterato e cultore dell’espressione armoniosa ed erudita di un linguaggio congegnato per esprimere messaggi di comunicazione e di interpretazione del mondo rivissuto come proiezione interiore della cultura e dell’amore verso la sapienza e la verità.
In una concezione geoepica della poesia che accomuna la storia del Pianeta alla storia dell’umanità, la scrittrice configura un duplice arcobaleno pontefice che unisce l’Occidente all’Oriente e contemporaneamente stabilisce un ponte tra l’antichità e la modernità, attraverso la fratellanza dei popoli diffusa dalla luce ludica e gioiosa della fiaccola olimpica, ma anche rappresentata dal simbolo della Montagna che è il tetto del mondo, cioè il Tibet, in un canto intonato alla libertà e all’autodeterminazione dei popoli. In una ricostruzione che è intonata alla speranza, ma che sa essere memore e riverente nei confronti del dolore e delle violenze delle vittime e dei vinti, la scrittrice restituisce alla poesia la sua primaria funzione di custode dei sogni e dei valori profondi dell’umanità.
Per un linguaggio della poesia teso alla rappresentazione del mondo attraverso la ricostruzione psicologica che si crea nella mente del poeta, sempre ancorato a nitide identificazioni di correlativi oggettivi e sempre acceso dalla sapienza di una comunicazione tanto sobria quanto densa di metafore e di possibilità allusive al reale e alle proiezioni dell’immaginario, la Giuria ha attribuito all’unanimità la dignità di stampa.
Lirica di amore in senso cosmopolita e universale tendente ad affermare la priorità del sentimento di attrazione e di dono verso la persona amata come l’emozione più naturale e più nobile che l’uomo possa concepire, in armonia con le manifestazioni di bellezza della natura e dell’intero creato, descritte con un linguaggio ispirato alla chiarezza e al lindore schietto delle formule espressive, scevre da ogni ispessimento esornativo, ma efficaci nell’autenticità comunicativa. La Giuria all’unanimità attribuisce la dignità di stampa.
L’omaggio reso al sonetto diviene molto di più di un cimento letterario sorretto da una perfetta educazione umanistica e da uno sviluppato talento di orchestrazione delle possibilità del dire in forme chiuse. In verità, Gianni Giolo insegue quasi per ironia la misura dell’ordine armonico nel grande caos della storia letteraria del-l’Occidente, che gli è tutta presente e chiara dall’antichità aurea latina fino alla contemporaneità del minimalismo biografico e quotidiano attuale, al punto di condensarlo nella mirabile quartina: “io non so perché sono giunto / a tanta affannosa confusione, / ad un segno così defunto / di vita e di disperazione”. La Giuria all’unanimità attribuisce la dignità di stampa.
Con l’elaborazione di un linguaggio sobrio ed efficace nella pienezza di una comunicazione argomentativa di approfondimento e di estensione del discorso poetico a una pluralità di temi della modernità e della tradizione, Paola Grandi raggiunge una definizione della poesia come moderno giardino delle delizie, che agita nella mente il ricordo della tradizione medievale dell’hortus conclusus, cioè del giardino delle erbe medicinali, ma che è in realtà la proposta innovativa di fare convogliare nel linguaggio della poesia la difesa strenua e incorruttibile delle autenticità della lingua e dei valori della cultura.