Si compone in quattro tempi l’affascinante groviglio di enigmi poetici della bravissima poetessa romana Edith Dzieduszycka. Sono i tempi dell’essere e del non-essere, delle aspettative e delle rinunce, della ragione e dell’inconscio, dell’attesa paziente e della rinuncia, in un barbaglio continuo in contrapposizione di luci ed ombre, un gioco di ossimori e di armonie, negli accostamenti scontati ed imprevisti, che da sempre la Poetessa sa mettere insieme in composizioni letterarie ricche di appigli esteriori e di rimandi profondi, nei suoi palinsesti rigorosamente perfetti, in forme e in misure sempre incisive quanto sobrie ed efficaci.La ricca raccolta di poesie di Isabella Horn, intitolata La rete vivente, reca come sottotitolo l’espressione latina Deus sive Natura che riconduce a Baruch Spinoza, il cui pensiero filosofico faceva coincidere l’essenza con l’esistenza, al punto che si possa afferma “Dio ossia Natura”. Pertanto, la raccolta delle liriche della Poeta, suddivisa in due sezioni, celebra il creato come forma unica di tutto ciò che esiste e che contemporaneamente coincide con il concetto di entità, nei termini classici del panteismo: il divino è l’entità che è contemporaneamente anche esistenza. La silloge appare ancora più preziosa in quanto è viaggio anche nel tempo e, quindi, illustrazione del concetto di divinità quale si è manifestato nelle civiltà etrusca, greca, romana e in alcune antiche civiltà orientali.
Nel timbro a martello delle rime, ricostruite con grazia sospesa in una sfumatura di intonazioni che vanno dalla commedia al dramma, Killander Cariboni ricostruisce per quadri e vicende esemplari alcuni accadimenti comuni della vita, come la cresima o la laurea, ma anche i tic e gli aspetti caratteriali delle persone, come la compulsione agli acquisti oppure l’avarizia, le attese e le delusioni testamentarie, la confusione casalinga degli alloggi medio borghesi che sembrano dei suk arabi, il tutto sempre presentato all’interno di un cantar per le rime che diviene davvero una risonanza vintage di desinenze canterine a cui non si era forse più abituati, ma che sorprende e affascina il lettore come un’illustrazione in sapiente falsetto del come eravamo.
Grande festa della parola è il libro di Paolo Barbagelata, Da queste assi, stelle solo le viti, è tutto un ribollire la metrica scapigliata dell’intera silloge. Il libro avrebbe fatto la gioia di Carlo Dossi, il geniale poeta della Scapigliatura milanese, che vantava discendenza da Cesare Beccaria e quindi affinità trasmessa da Alessandro Manzoni: Dossi, impenitente giocoliere della parola poetica, nella vita fu anche irreprensibile segretario del Primo Ministro Francesco Crispi. Più che una festa, è un grande Festival, con una propensione al dialetto genovese, ma con citazioni in Latino, nonché tratte da altre lingue barbare, come il Francese. Si apprezza la gioiosità delle tematiche, improvvise, lampanti, dirompenti e l’estro da paroliere che meriterebbe una musica adeguata per i testi sprizzanti armonie e contrasti. Si ammirano gli appoggi, le citazioni, i flash della memoria su fatti reali della cronaca, sovente di carattere drammatico, un controcanto voluto all’atmosfera carnascialesca di molte poesie.
Il nuovo libro di Poesia di Giorgio Colombo, Vogliamo un tempo nuovo, possiede una variegata linea di sviluppo che collega insieme i diversi temi, gli spunti e le riflessioni uniti coerentemente da una marcata inflessione lirica, che non viene mai disattesa neppure lungo i viaggi della mente, per luoghi e per tempi carichi di storia umana, in violenti sovvertimenti o in reiterati patimenti inflitti dai vincitori ai vinti, avviati a patire tormenti indicibili. Dal carcere Marmentino di Roma Imperiale che domina il mondo ai drammi della recente invasione russa dell’Ucraina alla tracotanza bellica del coreano Kim Jong-un, si susseguono temi sulla pandemia, sui disastri ambientali, ma anche voci di amore, di speranza, di incanto della natura. Giorgio Colombo dimostra che nella varietà dei lampi di luce, alternati ai momenti oscuri, la sua sperimentata lirica negli anni e nel rosario di opere già pubblicate è divenuta sempre più efficace, sicura, ricca di incanti sonori e di dolci attrattive di bellezza e di speranza.
Scandito in nove distinte sezioni, il libro di Poesia di Aldo Sisto, definito con sobria naturalezza musicale, Alti e bassi, presenta l’incanto di una ricapitolazione dell’esperienza di vita alacre, trascorsa nella gioia e negli affanni quotidiani, nell’elaborazione di una prassi esistenziale temprata dalla resistenza al dolore e illuminata dalla serenità della contentezza. C’è qualcosa che va oltre il mestiere di vivere di Cesare Pavese e, quindi, supera le nebbie dell’analisi psicologica del proprio io e le disamine realistiche delle contraddizioni del tempo, per accendersi in una lirica del sentimento del collettivo, come fosse recata da un “soffio etesio” di memoria carducciana, cioè da quel murmure lieve e indistinto, che reca conforto allo spirito e alla mente.
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Narcisa Fargnoli, Tenere braci
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