La monografia riferita a Balthus, pseudonimo del pittore francese di origine polacca Balthazar Kłossowski de Rola (1908-2001), evidenzia con acutezza il carattere metaforico e enigmatico della pittura di uno dei massimi pittori che hanno caratterizzato il XX secolo. Su Balthus si assommarono molte curiosità irrisolte riguardanti la sua attrazione per le fanciulle adolescenziali riprodotte in posture all’epoca giudicate troppo provocanti, ma anche per le sue paventate discendenze dal Lord Byron o per le discendenze giudaiche della madre da lui negate. L’opera mette in evidenza la profonda ricerca sulla pittura classica condotta da Balthus e sulle influenze anche riferite alla letteratura e alla poesia che le sue opere contengono, a riprova del milieu artistico culturale di altissimo livello in cui si formò e condusse tutta la sua lunga vita creativa.
L’espressione Paese di Poesia ha un valore antonomastico perché indica, nella comunità umana diffusa su tutto il Pianeta Azzurro, l’Italia, l’unico Paese che ha avuto una lingua e una letteratura sempre e soltanto egemonizzata dai Poeti a principiare da Dante Alighieri per giungere fino ai tempi nostri, cioè ai propugnatori del Mitomodernismo. Si sa che nessun altro Paese al mondo ha sviluppato una letteratura fondata e successivamente sempre innovata in egemonia prevalente dei poeti, al posto degli storici, drammaturghi, romanzieri e via di seguito. L’idea dello scrittore Bruno Civardi – studioso, romanziere, poeta e critico letterario – di usare l’espressione Paese di Poesia in un ambito >comunale – cioè cittadino – appare subito fabulosa e altamente stimolante, nonché rappresentativa della congerie di formazione storica del Bel Paese là dove ’l sì sona, che ha proprio trovato nella dimensione comunale l’espressione storica più ricca, autentica e sicuramente originalissima. Sono riprova evidente i versi collazionati da Civardi sia in dialetto sia in lingua, che fanno della Città di Stradella un capitolo significativo della recente storia letteraria italiana.
Il saggio di Irene Grazi, studiosa di arte contemporanea, intitolato Il colore bianco nell’arte dall’Ottocento ai giorni nostri, si segnala sia per l’attenta riflessione teorica sull’importanza assunta dalla somma di tutti i colori nel solo Bianco sia per la sapiente ed esaustiva o quanto meno ricchissima citazione di opere di artisti e di fotografi che hanno compiuto la “rivoluzione del bianco” nell’arte moderna, a partire dall’impressionismo dell’Ottocento per arrivare all’astrattismo dei pittori e fotografi contemporanei del XXI secolo. Il libro si impone come uno fra gli studi più ricchi e meditati di recente ideazione.